di Franco Secchieri
geologo
Sono da poco tornato da un viaggio che mi ha portato dai nostri ghiacciai fino all’estremo Sud del continente americano, più precisamente in Patagonia e nella Terra del Fuoco. Approfitto dell’occasione per scrivere queste brevi note più che altro con lo scopo di dare testimonianza della straordinaria bellezza di quei luoghi, ancora oggi per molti versi integri e non soffocati dal turismo e di scoprire un possibile legame tra questi ghiacciai e quelli delle nostre montagne. Come Geologo, e soprattutto come Glaciologo, non potevo sottrarmi alla esperienza di un lungo viaggio di questo tipo, nel pieno dell’estate australe (gennaio 2019), in un ambiente inaspettato e decisamente diverso da quello alpino. Si tratta della terza area glaciale più estesa del pianeta, sovrastata da bellissime montagne, i cui mitici nomi sono testimonianze della storia delle esplorazioni e dell’alpinismo: dal Fitz Roy alle Torri del Paine al Cerro Torre, dal Perito Moreno al Canale di Beagle e poi giù fino a Capo Horn, la punta estrema dell’America meridionale. Il viaggio, tutto sommato abbastanza facile e comodo, è stato suddiviso in due parti molto diverse tra loro: la prima costituita da una crociera a bordo di una piccola nave dotata di gommoni per gli sbarchi a terra, la seconda lungo un itinerario via terra, con un veicolo adeguato alle percorrenze in fuori strada, verso le mete più classiche dell’alpinismo patagonico. Raggiunta la cittadina di Ushuaia, all’estremo sud della Terra del Fuoco, dopo una breve visita ai dintorni, l’emozionante imbarco sulla Stella Australis verso la meta obbligata di Capo Horn. Da qui la navigazione è proseguita lungo il canale Beagle, con sbarchi ove possibile alle fronti dei più grandi ghiacciai, principalmente costituiti dalle lingue provenienti dalla massa gelata continentale (Hielo Patagonico) che scendono lungo le valli fino ad immergersi nelle acque del mare. Naturalmente sempre con lo sguardo proteso a cercare anche qui eventuali testimonianze sui cambiamenti ambientali dovuti alle variazioni climatiche. La risposta, seppure complicata e di difficile interpretazione, non poteva purtroppo che confermare il sospetto di come anche quelle masse gelate stiano subendo la sorte di quelle di altre latitudini, con ritiri e ridimensionamenti anche di notevoli dimensioni. Grazie alla rotta della nave, la scenografia glaciale offriva continui paesaggi spettacolari, specialmente quelli forniti dalle alte pareti di ghiaccio dalle quali si staccavano di continuo seracchi di varie forme e dimensione. Una esperienza resa ancora più emozionante per la possibilità offerta di avvicinarsi (o addirittura sbarcare) alle fronti a mezzo dei gommoni. Terminata la crociera nel porto di Punta Arenas e preso a noleggio un nuovissimo fuori strada, il viaggio è proseguito raggiungendo la tappa storica alla fronte del Perito Moreno dove gli obiettivi delle macchine fotografiche erano pronti a cogliere l’attimo del fatale crollo dei seracchi dentro le acque del Lago Argentino. Questo ghiacciaio è forse il più conosciuto al mondo e la sua fama è certamente meritata, sia per il contesto ambientale in cui si colloca, sia per l’intensa attività della sua fronte ed infine perché sono state create attrezzature turistiche (passerelle e punti di osservazione) che consentono ad numero sempre più elevato di turisti di poterlo ammirare. Un ghiacciaio apparentemente in contrasto con le tendenze generali di riduzione cui sono soggette le masse gelate anche di quelle aree. Gli studi eseguiti dai glaciologi infatti confermano che il Perito Moreno non ha modificato la sua massa glaciale negli ultimi 5 – 10 secoli, quindi anche lo spessore è rimasto invariato, raggiungendo addirittura i 700 metri lungo i 5 chilometri della lingua. Un cenno a parte merita la visita alle grandi cattedrali di granito come le Torri del Paine o il gruppo del Cerro Torre – Fitz Roy la cui grandiosità è resa ancora più evidente dallo sconfinato scenario delle aride steppe e praterie cui questi giganteschi monumenti alla geologia fanno da sfondo. Un lungo e spettacolare itinerario sulle orme dei tanti personaggi, anche italiani, che hanno celebrato e resi famosi quei luoghi, e che rimangono certamente scolpiti nella memoria di chi li ha visitati. Un incontro molto interessante è stato quello con il “Glaciarium”, un museo dedicato ai ghiacciai, situato nel bel mezzo del “Parque Nacional los Glaciares” che costituisce una importante testimonianza della attenzione della comunità scientifica argentina non solo per i ghiacciai, ma per l’ambiente in generale. Mi ha colpito in modo particolare il padiglione dominato dalla figura di un grande orologio a significare la storia della Terra, ma con le lancette puntate ad indicare come non ci sia più tempo da perdere per salvare il pianeta. Ed a fianco una grande scritta che comincia con la frase : Durante i millenni abbiamo spento la nostra sete nell’acqua limpida di un torrente, il nostro destino sarà vivere in un deserto? E termina con l’appello: La Terra ci sta chiamando. La vita chiede aiuto ……..Dobbiamo rispondere …… Un messaggio molto chiaro e allarmante che varrebbe forse la pena di considerare per tutti i nostri ghiacciai, magari a cominciare da quello della Marmolada ! Ed è forse proprio questo il filo che ha lega le nostre montagne a quelle della Patagonia e che questo viaggio mi ha fatto comprendere.
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