di Donato Sinigaglia
Giornalista GIST
Un viaggio curioso, per certi aspetti intrigante, quello tra i monti
Concarena e Pizzo Badile, che porta alla scoperta di un centinaio di rocce
che custodiscono immagini e simboli neolitici, tra i quali la rosa
“camuna”, simbolo della regione Lombardia. I circa cinquanta metri della
“Grande Roccia” sono un vero e proprio trattato sull’esistenza e sulle
attività dei nostri antenati dalla fine del Neolitico all’Età del ferro, con
appendici risalenti al Medioevo. Graffiti incisi progressivamente in
un’opera collettiva completata in migliaia di anni, artisti ignoti spinti dal
desiderio di lasciare una traccia del loro passaggio sulla Terra. In
quest’area e in quella che si estende su oltre 180 località e parchi della
Valle, i simboli religiosi hanno fatto spazio alle figure umane, ai villaggi,
agli animali, agli episodi di caccia e alle scene di vita quotidiana. La Valle
dei Segni attraversa così dodicimila anni di storia e getta una luce sui
misteri delle origini dell’umanità in un percorso che accarezza centri
abitati come Ossimo, Paspardo, Sellero e Sonico e sfocia idealmente nel
romantico lago d’Iseo. Anch’essi riconosciuti Patrimonio dell’Umanità
Unesco, quelli concentrati nell’area del Garda, sono tra i più antichi siti
palafitticoli dell’Arco Alpino e permettono di immaginare la vita delle
prime comunità agricole europee, riunite in villaggi edificati su
piattaforme di legno lungo le rive di laghi, fiumi e paludi. Se il museo
archeologico Rambotti di Desenzano conserva un aratro risalente a circa il
2000 a. C. e altri oggetti rinvenuti nel corso degli scavi, il bacino di
Lucone di Polpenazze è uno dei meglio conservati dell’anfiteatro
intramorenico. Palafitte come quelle rinvenute sul fondale della sponda
orientale della penisola di Sirmione e a Gabbiano di Manerba del Garda
sono testimonianze preziose per comprendere tappe fondamentali del
percorso dell'umanità. È necessario un salto in lungo di svariati secoli e di
qualche chilometro per atterrare nel cuore di Brescia e ritrovarsi al
monastero di San Salvatore e Santa Giulia, complesso che dal 2011
insieme all’area archeologica del Capitolium è iscritto nella Lista del
Patrimonio Mondiale dell’Umanità col nome I Longobardi in Italia. I
luoghi del potere (568-774 d.C.). Parte del sito seriale che comprende altre
testimonianze sparse in svariate città italiane, la struttura ingloba numerosi
edifici religiosi di epoche differenti e ospita il Museo di Santa Giulia,
impareggiabile scrigno chiamato a custodire e rispecchiare il carattere
universale della cultura longobarda al massimo del proprio splendore, qui
ben rappresentato in ogni sua espressione con sculture, affreschi, mosaici,
armi e strumenti di mestieri antichissimi. Aggirarsi tra le sale è come
avventurarsi in un viaggio nel tempo, dove il contenitore è strettamente
legato con un contenuto che consta di circa 11mila pezzi, tra reperti celtici,
romani e longobardi. A pochi metri dal monastero, il Capitolium si offre
allo sguardo come una straordinaria area archeologica, all’interno della
quale spiccano il teatro e un tratto del lastricato del decumano massimo.
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