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A San Pietroburgo con Francesco Xanto Avelli

C’è anche Rovigo nel Palazzo d’inverno, splendida residenza degli zar fino alla Rivoluzione del 1917, ora uno dei più grandi musei del mondo, l’Ermitage di San Pietroburgo. Accanto ai capolavori di Leonardo, Raffaello, Rubens, Rembrandt, e con analogo rilievo, una grande vetrina contiene una ventina di pezzi in ceramica firmati da Francesco Xanto Avelli da Rovigo, e altri della sua scuola. I temi delle finissime decorazioni vanno dal piatto con le tre Parche, alla morte di Cleopatra, Polifemo e Galatea, Sansone che manda in rovina il tempio dei Filistei, Apollo e le Muse, il sacrificio di Abramo, e segnalano una stagione fervida per il maestro rodigino divenuto famoso grazie alle opere realizzate a Urbino tra il 1530 e il 1540. Una vasta cultura pittorica e letteraria sono base della durevole notorietà mondiale. Opere caratterizzate da amore del colore con una tavolozza molto ricca, vividezza del contrasto, sicurezza del segno. Figure possenti, ben modellate, in soggetti sacri e profani. In tutte le opere in esposizione giunte da collezioni Baslilevski, Botkin e Stieglos, è evidente il rimando alla città natale di Xanto, origine di cui egli si vantava etichettandosi sempre con il nome della sua città natale accanto a nome e cognome, e che oggi trova le sue opere esposte in tanti musei del mondo, accanto ai nomi più famosi. che è conservata anche in grandi musei del mondo, Vaticano, Londra, Parigi, Cambridge, Firenze, New York. Una celebrità planetaria ma che, salvo lodevoli eccezioni, la città forse gli riconosce quasi distrattamente. Nato a Rovigo, forse nel 1486, Francesco Xanto Avelli imparò l’arte nelle botteghe cittadine, quindi acquisì una solida cultura letteraria, prima di trasferirsi definitivamente a Ferrara nel 1510, probabilmente perchè la famiglia era molto legata agli Estensi, poi a Faenza e Urbino al servizio del duca Della Rovere dal 1529. Morì dopo il 1542. La sua è una produzione copiosa firmata anche con FXAR (Francesco Xanto Avelli da Rovigo). Rovigo è in tal modo protagonista in una delle capitali mondiali dell’arte e della cultura, San Pietroburgo, fondata sul delta della Neva da Pietro il Grande, che ne volle fare il ponte verso l’Occidente, verso cui voleva proiettare la sua grande Russia. «San Pietroburgo non è Russia», affermano i suoi abitanti. Poche cupole a cipolla, ma un tessuto urbanistico che spazia dalla capitale settecentesca all’Ottocento imperiale, fino al declassamento da capitale voluto dai comunisti, il cui stile costruttivista non è però invasivo di fasti del passato e mantiene invece il suo fascino nei quartieri che circondano la metropoli. È un concentrato di arte che l’imponente illuminazione dei palazzi realizzata nel 2003, trecentesimo della fondazione, rivela nella sua bellezza tra l’intrico dei suoi 62 corsi d’acqua e nelle 42 isole che vi si specchiano, un po’ Venezia e un po’ Amsterdam. I richiami e le suggestioni sono sempre più fervidi percorrendo le imponenti arterie che portano al cuore di una città di oltre 4 milioni e mezzo di abitanti, la fortezza di San Pietro e Paolo dove sono tumulati gli zar, le chiese, i monasteri i cimiteri monumentali. Il fervore di essere sempre più "europea" si legge nei numerosi cantieri di restauro e sistemazione, che danno lustro anche ai cortili e ai ricordi del passato, raccontato dagli scrittori che l’hanno amata e odiata. Se ne trovano quasi intatte le tracce nei musei dedicati ai protagonisti della letteratura, nei luoghi frequentati e descritti da Dostoevskij e dai suoi personaggi, le mete dei vagabondaggi nelle notti bianche e le ambientazioni d’indimenticabili romanzi quali "Delitto e castigo" o "Povera Gente". Oppure nel far rivivere la grandezza di Alexandr Puskin, poeta che morì giovane in duello per difendere l’onore della moglie. Ancora sulla Prospettiva Nevsky, 4,5 km densi di traffico, non si perdono gli echi Nikolaj Gogol, o di Anna Achmatova sul lungofiume Fontanka o della fanciullezza di Vladimir Nabokov. Il tutto nella città che, nonostante l’assedio nazista dei 900 giorni, non fu violata, sia pur a prezzo di immani tragedie di dolore e morte. Storia e fasto anche nei palazzi dei dintorni, quasi tutti di architetti italiani, con il palazzo di Caterina e la ricostruita Camera d’ambra di Zarskoe Selo. Su Xanto Avelli la Fondazione Banca del Monte ha impiegato due anni per realizzare la traduzione in italiano ‘del più bel catalogo europeo sulla ceramica del Rinascimento’. Il secondo atto è stato quello dell’acquisto del piatto, unico rimasto al mondo, di Avelli, una maiolica istoriata che racconta per immagini il triste epilogo della storia d’amore tra Ero e Leandro. Il pezzo, del 1540, firmato sul retro con la caratteristica ‘X’, è un’esplosione di colori che si può ammirare al Museo dei Grandi Fiumi di Rovigo.



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